Una notizia apre uno spiraglio di ottimismo non solo per chi abbia a cuore il difficile percorso verso la totale parità tra i generi ma anche per tutti coloro che avvertano un minimo sensibilità in ordine alle sofferenze e le discriminazioni del genere umano tutto: dallo scorso 2 maggio in Sudan la pratica della mutilazione genitale femminile è considerata, trattata e punita come crimine, con tre anni di carcere.

Finalmente anche detto Paese si aggiunge al novero degli altri nei quali l’infibulazione non può essere praticata. Tale pratica è proibita per legge in Italia dal 2006, in Europa, Nigeria, Egitto e Kurdistan Iraq, ma purtroppo ancora largamente diffusa in tutto il mondo:

Per i molti o pochi (e volontariamente uso i termini al solo maschile) che non hanno chiaro in che cosa l’infibulazione di preciso consista, basti dire che essa interviene sulla vagina con l’asportazione del clitoride, delle piccole e di parte delle grandi labbra, cui segue, dopo la cauterizzazione, la cucitura della vulva in modo tale da lasciare una piccola apertura che permetta il passaggio dell’urina e del sangue mestruale.

Essa è di solito eseguita su bambine o giovinette tra i 4 e i 15 anni di età, tradizionalmente da una donna priva di formazione medica che per giunta si avvale di strumenti rudimentali anziché chirurgici, di solito senza anestesia e trattamenti antisettici. Frequentissimamente intervengono complicanze quali emorragie ed infezioni.

La sua funzione sociale è quella di conservare ed indicare la verginità della ragazza al futuro marito che, per di più, potrà usufruire di un docile oggetto sessuale incapace di provare piacere. Ovviamente, affinché possa adempiere al proprio dovere coniugale occorre provvedere alla defibulazione della sposa, semplicemente scucendo quanto si era in età giovanile provveduto a cucire. Dopo il parto però le neo mamme spesso vengono reinfibulizzate di nuovo.

Stando all’UNICEF, ancora oggi vi è un’alta incidenza di mutilazioni genitali femminili in paesi africani e medio orientali. Fino al 1° maggio 2020 se ne contavano 29, dal giorno successivo sono scesi a 28.

Ancora molta strada rimane da percorrere ma un altro passo è stato fatto.

Per diventare anche noi agenti del cambiamento il CPO è stato invitato al TAVOLO MGF presso la Provincia di Livorno ai quali partecipano: Consigliera di Parità, Prefettura di Livorno, Comune di Livorno, USL, CPO Regione Toscana, Ordine dei Medici, CeSDI, Associazione RANDI, Associazione Diecidicembre. Con questi soggetti riteniamo che l’abbandono alle mutilazioni genitali femminili richieda una presa di coscienza di tutte e di tutti. Ogni cultura all’interno dello stesso Paese ha una propria visione della pratica MGF, che nel tempo viene tramandata di generazione in generazione e talvolta modificata nel suo contenuto, ma che ha sempre come effetto la mutilazione irreversibile del corpo delle donne e l’alterazione violenta dell’identità psicofisica.

E’ per questo che è necessario sensibilizzazare; ciò significa comprendere prima le ragioni interne, sociologiche e culturali che portano a tale pratica così da poter de-costruire e re-costruire.